
La Valle di Sant’Agapito: escursioni e tradizioni
Nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, appena sopra il comune di Cesiomaggiore, si trova la Valle di Sant’Agapito.
a Valle di Sant’Agapito è una zona di montagna selvaggia e poco conosciuta al turismo. Offre ai suoi visitatori escursioni con diverse difficoltà, da quelle più facili a quelle più difficili. Il panorama non è particolarmente interessante rispetto ad altre zone della provincia di Belluno, in quanto, raggiunta la Chiesetta di Sant’Agapito la vista si limita al comune di Cesiomaggiore e una piccola fetta della Valbelluna. Questo non vuol dire però che non sia interessante da visitare, anzi, lo è particolarmente per gli aspetti storico-etnografici che la riguardano.
Escursioni nella Valle di Sant’Agapito
Da Cesiomaggiore potrete risalire la Valle di Sant’Agapito per una breve passeggiata fino all’omonima chiesetta (862 m) o fino a raggiungere le Casere di Pra Montagna (1017 m) alla base dei pendii prativi del Monte Palmar. In alternativa, se siete degli escursionisti esperti potreter raggiungere bivacco Casèra Bòsc dei Bòi (1501 m) dove vivono i galli cedroni e dove, tra i crepacci, fioriscono le preziose stelle alpine (Sentiero Corrado De Bastiani). Il bivacco una volta era di proprietà di mio nonno, che poi passò la gestione al Gruppo Escursionisti Cesio (GEC) che tuttora se ne prende cura con grande maestria insieme al sentiero.
Nello specifico oggi vorremmo soffermarci sul nuovo sentiero chiamato “L’anello della Montagna di Mezzo”
Questa passeggiata ha degli aspetti storico-tradizionali che la rendono particolarmente interessante. Questi, sono legati principalmente agli antichi sentieri che percorrevano tra i 500 e 100 mt di altezza il versante meridionale del Monte Tre Pietre. Lungo il percorso sono presenti tracce dei primi insediamenti, come un villaggio, una chiesetta, poste per la caccia, antiche cave in pietra e le tracce dei sentieri che collegavano i diversi gruppi di case. L’ anello raccoglie diverse testimonianze del passaggio millenario di antichi camminatori, come pastori, contadini, soldati, cacciatori e viandanti.
Il percorso è lungo circa 16km con un dislivello positivo di 1.100mt ed è molto vario tra strade sterrate, asfaltate, silvo-pastorali, sentieri larghi e stretti. Sono presenti tratti in pendenza sia dolce che più ripida, ma il tutto sempre in sicurezza. L’escursione è consigliata a tutti, perfetta per gli appassionati di montagna per i suoi scorci sulla valle del Piave, ma anche per chi vuole andare alla scoperta della storia e delle tradizioni che contraddistinguono questo luogo. L’anello può essere fatto anche con i bambini essendoci lungo il percorso diversi punti in cui accorciare il tragitto ed evitare i punti più faticosi.

Foto ©carlo case
La chiesetta di Sant’Agapito
La chiesetta dedicata all’omonimo Santo sorge a quota 862 s.l.m. ed emerge rispetto al paesaggio circostante per il suo candore che svetta tra i boschi e le rocce in tutte le stagioni.
CHI ERA SANT'AGAPITO. "Agapito morì martire a Preneste (Palestrina). I suoi Atti, narrano che a 15 anni venne portato davanti al governatore Antiochio a Preneste. Egli rifiutò di abiurare e venne frustato, imprigionato e decapitato. Le sue sofferenze sono descritte con efferatezza, a scopo sia di intrattenimento che d'insegnamento. Le sue reliquie furono trasportate vicino a Tarquinia, dove ancor oggi il suo culto è radicato, mentre nella nostra provincia questo è l’unico edificio a lui dedicato. "
La chiesetta ha origini antiche, come testimonia la parte inferiore dell’abside a pianta semicircolare, caratteristica delle chiese locali duecentesche. L’attuale edificio è il risultato di alcuni ampliamenti che furono fatti attorno al 1529 (data incisa sulla campana) e al 1728 (rinvenuta all’altezza delle coperture). L’interno è semplice, ma molto elegante, caratterizzato da una bellissima cancellata in ferro battuto e da un altare in marmo colorato ad intarsio. Elementi molto raffinati nonostante la posizione periferica della chiesetta.

Foto ©Roberto De Pellegrin
l capitello di Sant’Agapito e l’evento tradizionale “Far le parole coi s’cios”
Tra le pareti del capitello di Sant’Agapito, posto all’inizio della Valle stessa, è racchiusa la storia della gente del posto, una storia che indubbiamente strizza l’occhio alla leggenda. Tra gli affreschi del pittore Vico Calabrò si vedono i corvi costruttori che, portando tra le zampe le pietre, indicarono i valligiani il luogo prescelto dal Santo per costruire la chiesetta in suo onore. Il Santo veniva invocato per proteggere le bestie al pascolo e per salvaguardare i raccolti dalle tempeste, il quale esaudì più e più volte le preghiere dei fedeli riportando il bestiame disperso sulla via di casa.


Foto ©Roberto De Pellegrin
Se a metà agosto vi trovate presso il nostro appartamento sulla collina, non potete perdervi "Far le parole coi s’cios", l'evento celebrativo che va avanti sin dal '500 per omaggiare il Santo Protettore. Le fonti orali tramandano che fosse consuetudine, la sera che precede la festa del 18 agosto, salire sulle pendici del monte Palmar (a est della chiesetta) per accendere i lumi, creati con i gusci di chiocciole riempiti d’olio, disposti a distanza regolare in modo da formare le lettere che compongono la scritta W.S.A.M † (Viva S. Agapito Martire). Ancora oggi la tradizione viene ripetuta anno dopo anno, sostituendo semplicemente le chiocciole con lampadine.
Sono rappresentati diversi altri racconti popolari nel capitello, molti dei quali danno voce alle paure più ancestrali e dando vita a riti e tradizioni che risalgono alla notte dei tempi. Nacquero così strani esseri come “il badalis”, “la bissa bianca”, “il mazarol” e “l’orchessa” che vivano la montagna circostante e si facevano sentire nella notte con i loro urli terrificanti. E qui, sempre secondo il mito, interveniva Sant’Agapito che salvava i devoti dalle fauci di queste creature spaventose. Sempre all’interno del capitello troviamo dipinte sulle pareti altre storie sulla vita quotidiana della gente, la fatica dei cavatori che estraevano la dura pietra delle cave, dei contadini che strappavano il fieno dai pendii o ricavavano calce e carbone sfruttando le risorse della montagna. Vico ha saputo con la sua pittura trasferire i sentimenti, le fatiche e la dedizione delle persone verso il lavoro, anche se era molto duro e bastava a malapena per sopravvivere. Nelle sue illustrazioni riusciamo a percepire l’amore per la terra, la sofferenza dell’emigrante costretto a trasferirsi per cercare fortuna e l’umile devozione che la gente della Valle, di allora e di adesso, ha verso il suo Santo Protettore.